Frasi e racconti

Ogni opera è di esclusiva proprietà creativa e intellettuale di Giovanna Micelli che ne detiene tutti i diritti morali e materiali.




 La resurrezione di un Angelo




La leggendaria spiaggia di Ho’okipa, dove il mare splende al sole come un diamante, tra un verde smeraldo e un azzurro cielo.
Un lungo sentiero insabbiato, che ad ogni orma, ha mille storie e leggende da raccontare. E magari, raccontarla attraverso una lettera, per poi metterla in una bottiglia di vetro e gettarla così in mezzo al mare, sperando che un giorno arrivi a un destinatario sconosciuto.
La spiaggia scottante di un colore giallino, che prova chiunque a far incamminare da soli o in compagnia alla ricerca del “noi stessi” trovando così, la pace.
Una pace interiore che sfiora con delicatezza sulla nostra pelle, sotto forma di vento.
Un vento leggero che trascina con sé il profumo del fiore “Lei”, che cattura molti turisti con la sua fragranza  .
Un habitat unico, che riesce a trasmettere tanta tranquillità nonostante quel caldo afoso che fa quasi sempre mancare l'aria.
Un paradiso che non c'è bisogno che tu muoia per andarlo a visitare. Basta un biglietto e un aereo!
Ma certe volte, anche un paradiso terrestre, si può trasformare un aldilà. Come? Basta una distrazione.
Mai fidarsi del grande Oceano. Ti può essere il tuo migliore amico quanto il tuo peggior nemico.
Ho’okipa è la spiaggia di ogni surfista. Vengono da tutto il mondo solo per  cavalcare quegli enormi palazzoni chiamate onde.
Amanti del brivido e della follia. La voglia di non ragionare più ma di riuscire a domare la natura, una cosa completamente impossibile.
Entrare nel centro del cuore con paura e senza. Più veloce che mai, nel scendere quella pista bagnata. Adrenalina che scoppia nelle vene e il cuore che esce dal petto. E' come andare su una moto a 180 Km/h!
I veri surfisti credono di poter dominare le onde solo per il semplice fatto che siano nati a posto della camicia, già con un surf in miniatura tra le mani. Ma, non sempre è così. A volte devono capire che anche i grandi surfisti, vengono traditi dal loro amore chiamato Oceano.

Era un  tardo pomeriggio. Faceva molto caldo quel giorno. Io e il mio fidanzato Simon avevamo una gran voglia di fare surf.
Patiti sin dalla nascita. Era difficile non condividere insieme questa passione. Infatti, oltre questo amore, nacque anche un altro … il nostro.
Lo conobbi in spiaggia insieme ai suoi amici, che provenivano da Chicago.
Fu il nostro un amore a seconda vista. Non ero molto colpita all'inizio da quel bel ragazzo dai capelli biondi e occhi azzurri.
A lungo andare però, il suo carattere dolce, e allo stesso tempo scherzoso, riuscì a conquistarmi.
Un po' imbranato in amore. Al nostro primo appuntamento sudava freddo, e non riusciva a continuare un discorso che subito saltava ad un altro, pure se non c'era un senso, continuava a parlare lo stesso.
Nel momento del nostro primo bacio ci fu un'attesa di un'ora seduti sulle scale di casa mia. Attendevo con ansia, fin quando non ce la feci più, lo afferrai per il collo e lo baciai. D'allora, erano passati  ben cinque anni.
Un ragazzo d'oro, dalle sembianze di un Angelo. Amavo dedicargli poesie e frasi. Una particolare le piacque più di tutte, che era: “Come può un gesto, una parola, cambiare completamente il tuo umore. La parola, un suono astratto che non si tocca e non si vede, eppure ha il potere di condizionare la mia vita. Anche il cuore ha un udito, ascolta. La maggior parte delle volte, quando mi parli, non arriva al mio cervello, ma nel mio cuore, perché le tue parole, sono vitamine per la mia anima. Che mi danno forza e coraggio, per andare avanti. Ti amo Angelo mio!”.
Ritornando a quella giornata, Simon ed io preparammo le tavole da surf. Pronti nel scendere pericolosamente quel scivolo, ma prima, il segno della Croce.
Tirava molto vento, e il mare era agitatissimo. Le onde sembravano più alte del solito, forse un po' troppo … credo dieci metri.
Più andavo avanti, e più trovavo difficoltà nell'andare avanti con le braccia immerse nell'acqua pesante.
Stanca, desideravo tornare indietro. Un qualcosa mi spingeva a dire, che quella non era giornata.
“Simon! Perché non torniamo indietro?” gli urlai.
Lui, già lontano, pronto a momenti per cavalcare un'onda: “Ma dai amore! Non mi dirai che ora hai paura?” sorrise.
“Simon ti prego: torna indietro!” gli gridai, ma non mi sentiva “SIMON!” gridai di nuovo ancora più forte. L'unico difetto che aveva? Era testardo!
Lo aspettai in quel punto dove ero rimasta. Ecco che Simon vide da lontano un'onda. Sembrava abbastanza grande, come primo giro. Per fortuna, riuscì a superarla. Un sospiro di sollievo.
Fece il gesto con la mano di venire. Pensai “Massì! Tanto che può succedere. Siamo bravi!”.
Ma ecco che nell'avvicinarmi, un'onda anomala inghiottì Simon. Dopo un paio di secondi, inghiottì anche me. Sembrava un muro di cemento, ormai crollato tutto addosso a noi.
Vedevo tutto sotto sopra. La corrente era troppo forte, da farmi andare a sbattere con la caviglia, su uno scoglio, ferendomi gravemente.
La prima cosa che pensai, dovevo ritornare subito in riva. La paura che qualche squalo sentisse il mio odore, era grande. L'acqua per poco non cercò di uccidermi, affogandomi tra la sua schiuma, riuscii a tornare in superficie.
Con un urlo, nonostante l'apnea che aveva divorato il mio respiro, continuai a chiamare Simon.
Era scomparso nel nulla. Ritornai di nuovo sott'acqua. Non riuscivo a vedere nulla. Ritornai di nuovo in superficie e continuai nuovamente a gridare il suo nome. Niente. Nessuna ombra. Come scomparve Simon, scomparve anche la sua tavola. La mia invece, si era rotta.
A fatica riuscii a tornare in riva. In preda al panico, continuai a gridare il suo nome, e zoppicando, lo cercai per tutta la spiaggia.
Intravidi da lontano una tavola che assomigliava alla sua. Corsi, nonostante la ferita che continuava a darmi dei bruciori fastidiosi. Toccai la tavola e … non aveva nessun graffio. Non era rotta. Era rimasta così com'era. Mentre lui?
Passarono due ore, e il cielo cominciò a tingersi di un altro colore. Come sfondo c'era disegnato il tramonto, la fine di un giorno, come la fine di una vita.
Vidi una sagoma non  molto lontana dalla spiaggia. Mi gettai in acqua, nonostante mi mancavano le forze. Mille pensieri cominciarono a frullare per la mia testa. Sperai tanto che non fosse stato lui quella sagoma, e se era lui, sperai che fosse svenuto.
A fatica trascinai il suo corpo a nuoto. Lo assicurai, come se mi sentisse. Lo portai in riva, appoggiai il mio orecchio sopra al suo petto e ... non sentivo più il suo cuore. Cercai di fare la respirazione bocca a bocca, ma niente … come il niente più esisteva.
Sentivo un'acqua salata in gola. Come se stessi affogando con le mie stesse lacrime. Un profondo oceano di tristezza. Il battito del mio cuore che faceva a botte come l'onda che si schiantava contro lo scoglio. La mia testa si sentiva in bufera, dai mille ricordi.
Un vortice di ricordi che mi portava nel passato, facendo perdere completamente i sensi. Mi sentivo spaesata nel mio stesso tempo. Portata dalle onde agitate, com'era allorquando il mio stato.
Sulla spiaggia ormai, incapace di controllare ogni mia azione, scrissi con il dito che tremava di incredulità "io ancora non ci credo … Simon ritorna!" il mio Angelo era volato via per davvero.
Nonostante i soccorsi, purtroppo intervenuti in ritardo, non c'era più nulla da fare. Di lui che mi rimaneva, nonché un dolce ricordo, quanto amaro.
Al suo funerale, quasi tutti gli abitanti dell'Isola vennero a dare l'ultimo saluto, a posto dei suoi genitori e dei suoi fratellini. Purtroppo anche loro scomparsi molti anni fa a causa di un incidente stradale.
Lo conoscevano e lo stimavano. Era un ragazzo che si faceva voler bene da tutti.
Fu alquanto difficile andarlo a salutare, per l'ultima volta. L'autoconvinzione era riuscita a farmi trovare sopra un altro punto di vista. Pensavo che tutto ciò, era solo un incubo. Una mia immaginazione. Mi sarei svegliata con il cuore a mille, cercando di calmarmi solo nel sentire la sua voce.
Il suo corpo non esisteva più. Bruciato ogni singola parte, trasformandosi in cenere. Desiderava che quando sarebbe stata la sua ora, di farsi cremare, lasciando la sua anima cullare tra le onde dell'Oceano.
Mentre gli oggetti in casa mi portavano a ricordarlo. Negli ultimi tre anni, aveva vissuto con me e i miei genitori. Appunto, non avendo famiglia, gli zii non volendo prendere nessuna responsabilità, lo avevamo accolto con grande gioia.
I miei lo consideravano come un figlio. Finalmente Simon, poteva percepire il calore affettivo di una famiglia, poiché era stato adottato da alcune famiglie, non buone. Viveva tra l'incubo e l'emigrazione tra Europa e America.

Col passare dei giorni, abbandonai anche la mia più grande passione, ovvero, la maledii.
Maledii il surf, l'Oceano, e quel maledettissimo giorno. Maledii anche me. Perché per colpa mia, di quella mia iniziativa, di fare surf. Se non lo avessi detto, tutto questo non sarebbe successo.
Stavo incominciando anche col dire “Perché Simon? Perché ti ho incontrato? Perché? Per farmi soffrire ancora di più? Perché mi hai lasciato? Non ti dovevi permettere di andartene via, senza una ragione. Io ti amo, e tu che hai fatto? Mi hai lasciata sola? Sapevi del tuo soprannome Angelo, ma non volevo lo diventassi per davvero!”.
Così giovane di età, assaggiai la depressione, ma quella atroce. Svegliandomi con l’incubo di rivivere la stessa scena. Avevo paura di dormire, e di sognarlo, tracciando così, il segno della mia insonnia sotto i miei occhi con un cerchio nero.
La luce del sole la vedevo tramite le finestre. Passavo giorni intere chiusa in casa. Il caldo non lo percepivo più. Addirittura, sentivo freddo!
Alle volte, rimanevo a guardare immobile, verso il nulla, e mi chiedevo “Simon è ancora vivo! Sì è vivo! Non è possibile che non ci sia più! Ora lo chiamo!” prendevo anche il cellulare e lo chiamavo. Il suo telefonino squillava e riuscivo a sentire la sua suoneria. Era accanto a me, con scritto sopra il display “Love”.
Ormai la mia sofferenza era il mio cibo, che a poco a poco mi stava divorando viva facendomi dimagrire parecchi chili.
Davanti agli occhi dei miei genitori ero irriconoscibile, generando così, altra preoccupazione per loro verso i miei confronti.

Erano già passati due lunghi mesi, che sembravano un secolo. I miei genitori continuavano con l’ aiutarmi, cercando di parlarmi con dolcezza insieme a ... Frank, nonché il mio migliore amico.
Frank, era più grande di me di pochi anni. Lo conobbi nelle vicinanze della sua scuola, l'Università. Ci fu subito quel feeling. Una fratellanza tra noi, due esseri sconosciuti. Divenne un fratello maggiore, quello mai avuto e che da tanto lo cercavo e lo desideravo .
Iniziò a lavorare dopo la Laurea insieme i miei genitori, che erano dei grandi scienziati, e forse dovevo dire, i migliori a mondo.

Una mattina, mentre stavo curiosando tra i vecchi scatoloni di Simon, cercando di trovare il suo cuore magari custodito in qualche scrigno, trovai invece, un piccolo scatolino. Lo aprii e c'erano dei capelli.
Erano quelli dei suoi e  dei miei. Non ricordavo con precisione il perché di questa sciocchezza che sembrava a dir poco stupido conservarli senza una ragione o una giusta motivazione.
In quel preciso momento, ecco che la mia mente si illuminò, accesa da una un filo di speranza che poteva sembrare folle, ma allo stesso tempo una nuova scoperta scientifica.
Scesi di casa prendendo la mia auto, e andando a laboratorio dei miei genitori.
Dopo un piccolo abbraccio di commozione, poiché era stata la mia prima uscita, dissi a loro: “Mamma! Papà! Ho una grandissima idea, che potrà essere l'invenzione del secolo. Finalmente nessuno potrà più soffrire” dissi stringendo tra le mani il piccolo scatolo.
Mi chiesero quale fosse, ed io risposi: “Far rinascere Simon. Quello di generare un clone, il suo! Avete capito? Non è un'ottima idea?” chiesi sorridente.
Mi guardarono meravigliati. Increduli mi dissero che non poteva essere possibile, dato che il suo corpo era stato cremato.
Per fortuna, mostrai lo scatolino contenente i suoi capelli. Li supplicai in ginocchio, iniziando a singhiozzare, di farmi questo grande regalo, dicendo inoltre che non riuscivo più a vivere.
Mio padre accarezzò la mia spalla: “Deborah… creare un clone, non significa che sarà come lui. Beh certo, assomiglierà a lui ma… non avrà i suoi ricordi, saresti un'estranea per lui. Sarà come un bambino appena nato… lo dovrai far crescere, far acquistare nuovi ricordi…”.
Affermai a loro di essere pronta, ma mia madre si oppose, come era il suo solito fare. Trovando una scusa del tipo: “Cosa penserebbe la gente? Che siamo dei pazzi? Che non facciamo riposare in pace le persone ormai scomparse?” alterandosi un po'.
Quella sua risposta affievolì le mie speranze. Guardai mio padre, sperando che rispondesse diversamente, quando in realtà, si trovava con lo stesso discorso della mamma.
“Okay...” mi voltai ormai arresa “Sappiate che perdere la persona che si ama, si perdono i sogni, il futuro, e anche la vita. Io ho perso la mia passione. Ho perso per sempre la mia vita … sì, la mia vita era proprio lui. Voi mi vedete viva, ma dentro non lo sono … e forse, non lo sarò per molto tempo. Di sicuro, non continuerò a vivere con questa ferita ...” strinsi gli occhi, stringendo fortemente il piccolo scatolo vicino al mio petto sinistro.
“Non dire sciocchezze, Deborah! Devi continuare a vivere. Sei giovane e non ...” disse Frank intromettendosi nel discorso.
Mi girai: “Ma a che serve vivere? Ancora non capite? Vi ho spiegato come mi sento, che volete di più? Mi volete viva? Felice? Allora clonatelo!” dissi porgendo lo scatolino.
I miei si guardarono in viso, e in più anche Frank. E per fortuna, si trovarono sulla stessa risposta. I miei erano d'accordo.
Il mio cuore già cominciava a battere. “No! Non potete” disse Frank, interrompendo così, quell'attimo di felicità. Gli chiesi un po' arrabbiata, il perché. “Perché gli esseri umani clonati, la maggior parte, possono avere dei seri problemi, ai danni fisici, come per esempio, non hanno uno sviluppo completo, per le difese immunitari, oppure, possono essere sordi, ciechi o parzialmente ciechi, psicotici, o con gravi difetti genetici … in poche parole, non potranno avere figli, o dare a loro, una vita … . Un clone, non ha lunga vita … proprio perché le cellule clonate sono spesso geneticamente "vecchie" anche, se prelevate da esseri umani adulti, in questo caso, ragazzo. Hanno molti tagli alle estremità dei cromosomi, e”.
Lo fermai con uno sguardo truce, e con un tono decisamente alterato, anche se non lo meritava. In tal caso nessuno doveva mettere bastoni fra le ruote: “Frank, Simon vivrà fino alla fine, percorrendo i miei stessi passi … ti è chiaro?”.

L'operazione era svolta in gran segreto. Nessuno del villaggio sapeva che stava per formarsi a poco a poco, dentro a una capsula, una nuova vita, generata con dei fili a posto del cordone ombelicale, che nutriva con un liquido strano color verde e formava con molta lentezza una prima e nuova creatura.
Frank nonostante la sua collaborazione era contrario, continuandomi a dire di essere ancora in tempo nel cambiar decisione e staccare per sempre quella spina.
Non davo molta importanza alle sue raccomandazioni. Mi sentivo di nuovo viva, viva di respirare, di uscire e sorridere. A poco a poco stavo recuperando il puzzle della mia quotidianità. Capitava che qualche sera uscivo con un'amica andando o al cinema o al pub.
I cittadini sembravano sorpresi e contenti del mio recupero, anche se le voci di qualche intruso o invidioso continuavano a girovagare come "la ragazza del morto è rinata".
Il surf era ormai per me solo una vecchia passione. Ogni volta che passavo con la mia auto la spiaggia di  Ho’okipa, una strana fitta allo stomaco iniziava nel contorcere i miei nervi.
Voci e pensieri strani. Moviola tanto amara e crudele. In un attimo, niente sembrava cambiato in realtà. Volevo credere che nell'attesa di aspettare il nuovo Simon, potesse colmare finalmente quel vuoto che si era creato dentro me, come una voragine.
Era solo un'illusione, per non accettare del tutto ciò che gli era successo. Scappare come una codarda dalla realtà che mi perseguitava con i suoi silenzi nella notte.
Pensai: “Chissà se mai, riascolterò la tua voce in quello di un clone. Sentire il tuo profumo. La dolcezza nei tuoi baci ...” .
La differenza ci sarebbe stata, e l'avrei senz'altro notato.
Ritornai a casa, decisi di farmi una bella doccia, col proseguire di un dolce risposo. Il mio corpo aveva assolutamente bisogno di riposarsi, nonostante la mia mente era preoccupata per quello che avrei potuto sognare.
Un’ultima occhiatina, prima di riposarmi, la foto sul comodino, che raffigurava io e Simon abbracciati su quella maledetta spiaggia, e le nostre mani che reggevano i nostri traditori.
Un bacio, una carezza sul suo volto e un piccolo sorriso, per poi spegnere la luce.

Sentii un vento gelido accarezzare la mia spalla, percorrendo per tutto il braccio, per poi terminare sulla mia mano. Aprii lentamente gli occhi offuscati ancora dal sonno e pensai che qualcuno in casa avesse rimasto la finestra aperta.
Ritornai quindi a dormire non alzandomi nemmeno dal letto per andare a chiudere la finestra.
"Ah!" che cosa era successo? Sentii stringere la mia mano, e ansimando accesi la lampadina per guardare chi ci fosse in camera mia.
Non c'era nessuno, silenzio. Tanto poteva essere una mia immaginazione, e tanto … non avevo idea.
Scesi dal letto e girovagai con il cuscino tra le mani per tutta la cameretta, come una bambina che aveva appena fatto un incubo e stava cercando con timore quel mostro cattivo che se la voleva mangiare.
“No, sto diventando paranoica” dissi scuotendo la testa.
Andai verso il letto e, stendendomi con molta lentezza senza chiudere nemmeno la luce. Strinsi forte il cuscino e mi girai dall'altro lato, verso la porta.
Cercai di pensare altrove, ricordando magari qualche momento imbarazzante ma tanto divertente che avevo fatto in passato quando ero una ragazzina.
Finché sentii dei passi e uno strano scricchiolio. Il mio cuore cominciò a battere. Le mie mani sudavano, mentre la mia pelle tremava dalla paura. Dei brividi percorrevano lungo il mio braccio formando la pelle d'oca.
La testa mi stava per scoppiare pensando che fosse tutto un immaginazione, la stanchezza, qualsiasi cosa ma basta che non avrei pensato a quei strani e paranormali rumori.
Sussurrai tremando un po' con la voce e stringendo ancora di più il cuscino: “No, è solo una mia immaginazione. Una mia immaginazione … una mia imm...immagina...immaginazio...zione...” a poco a poco chiusi gli occhi ed ero pronta per partire a dormire.
“No, tesoro! Non è una tua immaginazione!” una voce gioiosa comparve nel silenzio.
Di soprassalto mi svegliai e con il cuore a mille senza contare la paura che avevo, ebbi il coraggio di guardare ai piedi del letto chi stesse seduto accanto a me poiché avevo una forte sensazione che stesse vicino a me.
Ancora una volta non c'era nessuna presenza, nessun sospetto che fosse un ladro, ma una persona che conoscevo benissimo, ma non sapevo ancora chi fosse.
Un attimo di distrazione, mi voltai verso il lato della finestra e “Ciao!”.
Era Simon davanti ai miei occhi seduto sul mio letto e con un sorriso smagliante.
“AH! Che ci fai qui? No: non è possibile!” scossi la testa e appoggiai le mani sul petto. Uno spavento piacevole e irreale. Una vampata di calore penetrò nella mia pelle. Il mio corpo tremava di incredulità, e la matta voglia di gridare si stava impossessando del mio stato ansioso.
Simon girò gli occhi in senso orario:“Mmm diciamo che, sono venuto per dirti delle cose, e poi avevo una gran voglia di prenderti in giro, gufetta! ” rise.
Volevo ridere e non. Sembrava così divertente quanto in realtà dovevo gridare aiuto per aver visto un fantasma davanti ai miei occhi prendermi in giro!
“Simon … ma …” mi avvicinai a lui cercando di accarezzare il suo viso. Era freddo come un cubetto di ghiaccio “Simon … riesco a toccarti … riesco a … riesco ad accarezzarti … oh Simon!” e lo abbraccia.
Il mio olfatto riprese conoscenza quando sentì quel buon profumo che tanto pensavo di non sentirlo mai più. “Ti prego … dimmi che sei vivo … dimmelo!” continuai con le lacrime agli occhi.
Sospirò: “Deborah …” si accostò e mi guardò dritto negli occhi “Ti devo parlare”.
“Shh” toccando le sue labbra “Ti prego. Non roviniamo questo momento” mi avvicinai a lui per far ritornare in vita il mio cuore. Lo volevo baciare, volevo credere anche se fosse stato tutto un sogno avrei comunque potuto sentire le sue morbide labbra sulle mie.
Purtroppo mi respinse: "So quello che vuoi fare, Deborah!".
Scossi la testa sapendo già a cosa si riferisse: "Tranquillo amore mio, tranquillo. Annullerò tutto perché sembra unitile continuare" gli diedi un bacio sulla guancia “L'ho sempre saputo che non eri morto!” mi avvicinai nuovamente per baciarlo ma per la seconda volta mi respinse.
Sospirò: “Deborah, ti prego! Quello che è successo, quello che mi è successo, non è stato un incubo. E' tutto reale. Io sono morto. Sono un Angelo. Sono sceso per darti un messaggio. Che ciò che stai facendo è completamente sbagliato. Contro la volontà. Stai infrangendo le regole della natura. Non puoi”.
Lo fermai capricciosamente:“No! No! No! Non dire così!” rimbalzai dal letto “Simon io ti vedo. Ti sento. Ti tocco. Come puoi dire che sei morto, scusa? E poi è contro natura? No, non è affatto così!” sintetizzai.
"Deborah, ma tu non capisci: non puoi!" continuò ad insistere.
"Simon, smetti! Non capisci niente!".
All'improvviso entrarono mia madre e mio padre nella cameretta chiedendomi con voci assonate e occhi socchiusi, con chi stessi litigando.
Stralunata risposi: “Ehm, con Simon. Non lo vedete?” indicai con la mano.
I loro occhi si aprirono di colpo come quelli di un gufo alla vista della sua preda. Stupefatti a ciò che avevo detto a loro, mi risposero: “Tesoro … sei molto stanca. Perché non vai a dormire” disse mia madre accompagnandomi a letto per il braccio.
Agitandomi un po' le chiesi: “Come mamma, non lo vedi? C'è Simon, lì davanti a noi, davanti a me. Simon parla”.
“Amore, probabilmente l'avrai sognato ...” insistette mia madre guardandomi in un modo pietosi come se avessi qualche rotella fuori posto.
“No! E' qui!”.
“Ti vado a prendere un tranquillante” accennò mio padre un po' impaurito.
“Deborah, i tuoi non mi possono vedere… solo tu” disse Simon con un viso sofferente.
Intontita rimasi a bocca aperta. “No tranquillo papà: non ce ne bisogno. Probabilmente… era solo un sogno. Ora mi rimetto a dormire… buona notte” appoggiai lentamente la testa sul cuscino e una lacrima scese dal mio viso.
“Notte tesoro” disse mia madre dandomi un bacio sulla mia fronte.
Mi ritrovavo di nuovo sola nella cameretta con un morto invisibile che mi parlava, non sapendo ancora se fosse ancora un'immaginazione oppure... la paurosa realtà.
Le lacrime cominciarono a scendere e Simon pronto a consolarmi: "Scusami piccola, scusami ancora se ti ho fatta passare per una pazza illusionista. Non volevo, davvero!".
Singhiozzai e parlai a bassa voce cercando di non far sentire ai miei: “Come ho potuto… come ho potuto credere a una sciocca e stupida fantasia. Ora mi ritrovo di nuovo qui a tremare nascosta tre le ombre del buio. I ricordi che continuano a calare attraverso a queste lacrime. A combattere ancora una volta questa maledetta guerra tra illusione e realtà”.
“No, Deborah!” prese la mia mano “Tu non sei sola … ci sono io qui. Sono il tuo Angelo, non ti abbandonerò mai. Ecco perché son”.
Lo interruppi: “SI’ invece, mi hai abbandonata!”  precisai con rabbia girandomi dall'altra parte del letto.
“Deborah io, ehm … parliamo domani, che è meglio. Buona notte piccola” baciò la mia guancia.
“Simon!”.
“Sì?”.
“Potresti dormire qui vicino a me, abbracciati, come un tempo?”.
Rispose dopo pochi secondi: “Certo … dopo non ti lamentare se sentirai freddo”.
Risi.
Nonostante il suo corpo era gelido, potevo almeno percepire il suo contatto fisico, anche se, in realtà non era altro che una figura astratta.
La mattina seguente mi diede il buongiorno Frank, entrando nella mia cameretta e portando la colazione a letto: “Buongiorno dormigl... Simon!” spalancò gli occhi.
“Ehi, Frank!” salutò Simon.
Sorpresa chiesi: “Frank, tu lo vedi? Perché? Cioè, solo io e te lo vediamo!” continuai nel chiedere cercando disperatamente una risposta, che ben presto sarebbe arrivata aggiornando la mia mente e creando un vortice di confusione.
“Credo che sia giunto il momento di dire la verità ...” Frank lasciò in sospeso per pochi minuti quello che ciò stava per accadere.
Simon affermò con un cenno di testa. Frank, chiuse la porta a chiave. Ansiosa e nello stesso tempo curiosa, stavo vivendo dalle favole  all'inferno, per poi risalire in paradiso ed essere gettata nuovamente sulla terra.
Frank si tolse la maglietta, e d'un tratto, due enormi ali spuntarono dietro le sue spalle: era un Angelo anche lui.
Dopo aver assistito quella trasformazione, svenni. Mi ripresi dopo circa mezz'ora. Ancora frastornata guardai i volti di Simon e Frank. Mi dimenticai di quella scena.
“Che cosa è successo?”.
Frank rispose un po’ divertito: “Ehm, fammi pensare… ti ho portato la colazione a letto, ho salutato Simon, mi hai chiesto il perché solo noi lo possiamo vedere, ho chiuso la porta a chiave, mi son tolta la maglietta e”.
“Mica hai tentato di violentarmi e mi hai fatto sbattere la testa da qualche parte?”.
“Deboraaah, che dici?” entrò di mezzo Simon sconvolto.
“Continuo. Mi tolgo la maglietta, e ti mostro le mie due bellissime ali bianche, e dopo averli visti sei svenuta e, ed ora eccoti qui bella e sveglia!”.
Per poco non svenni di nuovo: “Oh mio Dio, sei morto anche tu?”.
Frank cercò di spiegarmi con calma come stavano per davvero le cose. Lui, non era altro che un Angelo sceso dal cielo per stare qui in Terra per proteggermi. Mandato da Dio come “Angelo Custode”.
Mi aveva vista dall'alto appena nata. Mi aveva vista crescere, e continuato a starmi vicino con lo sguardo.
Desiderava tanto percorrere i miei passi della vita accanto a me, chiedendo così a Dio se poteva scendere tra noi esseri umani.
 Le diede il consenso ma, precisò, che non si doveva innamorare di nessuna essere umana o sarebbe divenuto un “Angelo Caduto”.
A differenza degli altri Angeli, lui era diverso. Tutti lo potevano vedere, e poteva immischiarsi tra la folla, senza dare alcun sospetto.
Sarebbe ritornato in cielo, dopo essermi sposata con la persona con la quale entrambi avremmo potuto ricambiare lo stesso sentimento d'amore.
Anche se si sarebbe allontanato da me, ciò non poteva significare che sarebbe andato via per sempre. Sarebbe rimasto sempre accanto a me, con l'aggiunta, che non lo avrei visto. Lo potevo incontrare magari qualche volta o raramente, solo nei miei sogni. E se avevo voglia di sfogare tutta la tensione, bastava chiamarlo, mi avrebbe ascoltata senz'altro.
Inoltre, sarebbe stato accanto a mio marito e i miei figli dandogli massima protezione.
“Perché non me l'hai mai detto?” gli chiesi ancora frastornata.
“Perché non era così importante”.
“Invece sì!”  sintetizzai alzandomi dalla sedia “Ora mi ritrovo più confusa che mai. Due mesi fa, il mio ragazzo ha un incidente e muore, e solo la scorsa notte, me lo ritrovo davanti. Scopro che il mio migliore amico, non è altro che un Angelo Custode. Che devo sapere più? Che sono stata adottata da una coppia di Angeli?”.
“Di sicuro saresti cresciuta con una buona testa!” rise Simon.
Risi arcigna: “Ah … ah … ah … spiritoso!”.
Frank chiese a Simon incuriosito per quale causa la sua anima stesse vagando ancora in questa terra senza risalire in cielo.
Lui lo rispose tristemente: “So quello che vuole fare Deborah… e voglio cercare, di farla cambiare idea. Spiega te quello che mi potrebbe succedere può darsi che ti sta a sentire”.
Guardai Frank sconcertata e gli chiesi: “Quali sono le conseguenze che può pagare Simon?”.
“Beh…  la sua anima soffrirà. Ancora non si sa con esattezza le cause che possono provocare i cloni appartenenti a una persona deceduta. Proprio perché non è mai stato fatto, ed è preferibile non farlo”.
Volevo valutare tutti gli aspetti. Non potevo far mollare tutto. Il clone stava già per prendere vita.
Dimostrai a loro con molta dimestichezza, che sapevo perfettamente ciò che volevo fare, e assicurai che non sarebbe accaduto niente di male.
Non potevano giudicare ciò che non era stato provato. Con sé non avevano risposte certe su cosa poteva accadere.
Delle volte, per cercare delle risposte, bisogna correre il rischio, infrangere le regole, anche se è sbagliato. Solo così, attraversando quella soglia, potremo capire se tutto quello che avevamo pensato, era reale o solo un’ipotesi immaginaria.

Passarono i giorni. Disorientata rimuginai intensamente a ciò che stavo per fare. Mi sentii in colpa, come se stessi per commettere un azione non consentita.
Simon e Frank, anche se non me lo dicevano, mi facevano sentire come una persona insensibile. La più ignobile che potesse mai esistere in questo mondo.
Continuavo a difendere il mio desiderio sotto gli attacchi truci degli Angeli.
Ogni giorno scendevo nel laboratorio dei miei genitori. Era una base segreta, che solo i familiari e le persone più intime potevano accedere.
In disparte c'erano esposti gli organi ancora in lavorazione. Vedevo che il cuore già cominciava a battere. Era strano sentire un cuore battere nonostante non fosse dentro a un corpo di un essere umano.
Che strana sensazione. All'improvviso mi venne quella matta voglia di gridare a squarciagola. Di cercare aiuto e di chiedere a Dio che ciò che stavo facendo, era un bene o un male.
L'unica persona che a momento mi poteva aiutare sul serio era solo la mia vecchia insegnate di Filosofia... la professoressa Stephine.
Ci raccontò che da giovane aveva studiato a Roma con un gruppo di Filosofi. Amava la paranormalità della natura e degli incontri. Per pura causalità ebbe un incontro tra un Angelo Custode e un Angelo Caduto, formando un triangolo amoroso. E nel raccontarci, ci fantasticammo le nostre menti immaginando per filo e per segno l'avvenimento.
Il finale fu sconvolgente. All'Angelo Custode gli vennero tagliati le ali, divenendo per sempre un essere dannato. Mentre all'Angelo Caduto ucciso dai suoi stessi compagni.
Decisi di farle una sorpresa andandola a trovare il giorno dopo. Fu per lei una gioia immensa da accogliermi a braccia aperte.
In casa ospitava statuette e quadri di Angeli. Foto sui comodini con i più grandi Filosofi e le sue avventure. Medaglie di ogni genere, e una montagna di libri. Più che una casa sembrava un museo, arredata con un tocco antiquariato, che dava l'impressione di una casa ormai vecchia da cent'anni!
Da tempo ormai non mi vedeva, che cominciò a farmi un sacco di domande, riguardo la mia famiglia, i miei progetti per il futuro, e quella domanda fastidiosa: “Come ti senti?”.
Le raccontai con grande difficoltà e con timore di non essere creduta, ciò che mi stava capitando da un paio di giorni.
“Deborah… voglio mostrarti una cosa” accorciò la manica del suo braccio sinistro. Vidi che c'erano dei segni, delle lettere, o codici, non seppi identificare a primo impatto. Notai però, che quei segni erano stati fatti a crudo. Sulla sua pelle lasciando ancora qualche traccia di sangue.
“Ecco perché porto sempre le maglie lunghe, anche a 40°. Questo, è il segno del mio peccato. Me l'hanno fatto gli Angeli Caduti. Ogni volta che li avverto, la mia ferita, comincia a farmi male”.
“Perché le hanno fatto questo? Quale peccato ha commesso?” le chiesi impressionata.
“Quello di amare un Angelo Caduto” socchiuse gli occhi, e un sorriso spontaneo spuntò dal suo viso, che sembrava ritornare indietro nel tempo.
Li riaprii, e iniziò nel raccontare la sua storia d'amore: “Ricordo ancora il suo nome... si chiamava Filippo. Era così bello … sembrava diverso dagli altri Angeli. Sai, la maggior parte di loro vengono descritti capelli biondi e occhi azzurri. Mentre lui no… era diverso, sia d'aspetto che nel suo modo di fare e comportarsi con la gente. Con me era piuttosto sgarbato e presuntuoso. Tra noi non ci fu quel feeling. Dopo però… non so cosa accadde con precisione quella notte… fu come … essere spinti dalla magia. Dalla forte attrazione che stava per nascere. Dall'acidità passò alla dolcezza. Quel suo modo lento e dolce di spogliarmi a poco a poco. Le sue labbra, che ad ogni contatto, mi faceva salire in paradiso. Dopo alcuni giorni venni a scoprire che un mio cugino venuto da un Paese molto lontano, non era altro che, il mo Angelo Custode… follemente innamorato di me. Lui era Joseph. La descrizione di un Angelo. Così affabile, nell'aiutare sempre il prossimo. Amabile nell'amore, che riusciva a conquistare chiunque, anche la persona senza alcun speranza di amare il prossimo. Sapeva conquistare. Infatti, non so come, non seppi resistere al suo fascino. Per sbaglio, senza nemmeno un minimo di pudore, lo trascinai tra le mie braccia. Eppure, non lo amavo. Amavo Filippo. E allora perché di questa meschinità? Ancora ora non so darmi una risposta. Mi ritrovai così, in un vortice di peccato… di vergogna. E quando gli Angeli, e quelli Caduti, lo vennero a sapere… ci fu un conflitto fra loro. Alla fine, condannarono me, Filippo e Joseph. Ognuno la sua punizione. Io, quella di rimanere per sempre da sola. Qualunque uomo si fosse avvicinato, non sarebbe durato in eterno. E poi, quella di non avere figli, che è la peggior punizione in assoluto. Filippo, quello di essere ucciso dai suoi compagni. Mentre Joseph, tagliato con crudeltà le ali, e mandato chissà dove in qualche posto della Terra, cambiando completamente identità. Da allora, la mia vita cambiò. Scusate se a voi, ve l'ho raccontato sotto un'altra forma, ma dovevo. Avrei potuto provare un forte senso d’ imbarazzo”.
Un racconto da far venire i brividi. Sentii quel nodo alla gola e la testa vuota. M'immedesimai a posto, della professoressa Stephine. Guardavo i suoi occhi mentre cercavano ancora di ricordare qualche altro minimo particolare.
Le sue pupille erano lo sfondo della notte. Luccicavano come stelle nel cielo, che custodivano quella forte luce chiamata ricordi.
Nonostante quei brutti avvenimenti era pur sempre felice. Aggiunse: “Se mi chiedessero di rifare tutto da capo, non ci penserei due volte: lo rifarei senz'altro” sintetizzò con entusiasmo.
D'un tratto l'ammirai. Ricordo ancora che col suo modo di fare, apparve all'inizio come una professoressa ingenua, sensibile e un po' imbranata. Quando in realtà, era una donna forte dal carattere coraggioso, come una guerriera. Con le sue ferite, riuscì ad andare avanti… quello che dovevo eseguire anch'io la sua stessa strada, ma non ne avevo il coraggio!
All'improvviso, il suo volto divenne serio e inquietante. Le chiesi “Qualcosa non va?”.
“Stanno arrivando… riesco a percepirli” disse, mentre si toccò il suo braccio sinistro.
Intuii.
“Deborah! Scappa! Vogliono te! SCAPPA!” gemeva dal forte dolore che stava provando. Quei codici d'un tratto, s'illuminarono come piccole torci.
Uscii di casa a gamba levate. Non capii cosa volessero da me, finché non me li trovai davanti.
Sbucati dal nulla. Sorrisi accattivanti e sguardi torbidi. Ali nere, che sembravano oscurare il cielo. Erano loro: gli Angeli Caduti, chiamati anche “Ribelli”. Rimasi immobile. Provai a tornare indietro ma ero circondata. Si avvicinarono sempre di più. “E così sei la migliore amica di Adam? Colui che si fa chiamare “Frank” ? Comunque piacere, sono Harry” disse uno di loro.
“Che volete da lui?” lo fulminai con uno sguardo.
“Sai, era un nostro caro amico. Era da un po' che non sapevo sue notizie. Come se la spassa qui, tra i terrestri?” si avvicinò a me, sfiorando con la sua mano, il mio volto.
Di scatto, gliela tolsi: “Nono sono affari tuoi!”.
“Ehi, ma che modi!” fece indietreggiò “Sai… Simon è davvero un ragazzo in gam …”.
Lo aggredii verbalmente: “Lascia in pace Simon! O te la vedrai con me! Mi sono spiegata? Non mi fai paura” avvicinandomi a lui e puntandogli il dito contro.
Sorrise sogghignando: “Calmati! Volevo solo dire che è un ragazzo in gamba, che faresti qualunque cosa, pur di farlo tornare in vita… giusto o sbaglio?”.
Abbassai lo sguardo. Il mio silenzio aveva dato la risposta a posto.
“Vedi? Pensi subito a male! Sappi che… ogni cosa fatta col cuore è sempre giusta, soprattutto”  bisbigliò al mio orecchio “se è amore” si allontanò, raggiungendo i suoi compagni “Ah! Dimenticavo! In bocca a lupo, scegli bene!”.
“Scegli bene? Cosa dovrei scegliere?”.
“Beh ecco, una persona oppure… ” e spiccò il volo insieme i suoi compagni, accompagnati dalla loro irritabile ilarità.

Conservai per lungo tempo questo spiacevole incontro con queste creature dall'apparenza docili, per non creare scompigli. Fino a quando una mattina sentii delle voci che provenivano fuori alla porta d'ingresso.
Scesi le scale e diedi una sbirciatina. Vidi che erano quei due Angeli Caduti appartenenti al gruppo di Harry, che trascinavano per il braccio Frank. Incuriosita di sapere dove lo portassero li seguii mimetizzando tra i cespugli e gli alberi.
Arrivarono a destinazione dopo un lungo cammino. Era un posto a dir poco sperduto. Una foresta inesplorata.
Mi nascosi dietro a un enorme cespuglio e iniziarono a parlare.
Troppo lontana per sentire ciò che dicevano con chiarezza. Nel fare un paio di passi in avanti, per pura causalità e per mia distrazione, non mi accorsi che a terra c'era un rametto, che nel suo piccolo, riuscì a far attirare la loro attenzione, rimbombando come una barretta di cioccolata mangiata in pochi secondi.
Rimasi immobile con le gambe che tremavano e la gran voglia di scappare. Un solo movimento e mi avrebbero scoperta senz'altro!
Si guardarono attorno per vedere se ci fossero stati degli intrusi. Per fortuna che non guardarono con tanta importanza da cima a fondo.
Tenevano con sé un ragazzo legato ai polsi. Chi poteva mai essere?
Per i primi dieci minuti non accadde nulla di strano, fin quando Harry non diede uno schiaffo a Frank, e da quel piccolo schiaffo, si creò uno scontro tra i due mondi.
Il cielo sembrava oscurarsi, ogni volta che quelle ali spuntavano dietro le loro spalle. Con dimestichezza usavano delle armi a noi sconosciute. Una frusta luminosa, e quella che poteva sembrare, una spada di fuoco.
Frank, teneva con sé un piccolo cerchietto dorato, che sembrava affilato, poiché aveva liberato quel povero prigioniero che dopo pochissimi secondi si dimostrò anche lui un Angelo.
L'atmosfera si fece pesante, nel veder uccidere due Angeli Caduti. Era meglio ritornare indietro ma non riuscii a trovare il giusto sentiero per ritornare a casa.
“Quale sentiero? Destra o sinistra? Cavolo” dandomi una risposta a me stessa ad alta voce.
Per miracolo mi lasciai guidare dal mio istinto correndo a perdifiato e tornando a casa con un gran senso di colpa: quello di aver lasciato Frank da solo.
Se fosse stato a posto mio di sicuro non ci avrebbe pensato due volte a mettersi contro di loro per proteggermi. Ed io codarda ancora una volta, preferii scappare piuttosto che aiutare il mio migliore amico.
“Mi odio!” dissi tra me e me.
“Ehi, Deborah! Che succede?” chiese Simon, e nel momento in cui gli stavo dando la risposta, apparve Frank, e mi trascinò prendendomi per il polso nella mia stanza.
“Ce ne dobbiamo andare, e subito! Gli Angeli Caduti ci stanno dando la caccia!”.
“Ma… ma… ma ai miei genitori cosa gli dico?”.
“Che ti voglio portare lontana da qui per farti distrarre, e magari, col passare dei giorni, potremo dire un'altra scusa”.
“Frank! E se faranno del male ai miei non vedendoci? Questo non lo posso accettare, già ho fatto un grosso male”.
“No vedrai, ho la loro parola, che non li torceranno un solo capello”.
Vidi una ferita sul braccio destro di Frank, ma preferii tacere. Aspettavo che me lo raccontasse lui quello che era realmente accaduto in quella foresta.

Studiavo “Facoltà di Scienze e Filosofia” Università di Roma, ambientandomi nella bellissima città storica con tanti misteri e fatti da raccontare.
Nell'imparare la Lingua italiana non mi è stato d'impedimento. La conoscevo già abbastanza grazie agli studi che i miei genitori, ogni estate, mi portavano a studiare in un campeggio estivo, dove alcuni ragazzi, dovevano scegliere la Lingua da studiare, io scelsi appunto L'Italiano.
Col passare del tempo, Frank non mi raccontò nulla dall'ultimo incontro con gli traditori di Dio.
Era diventato imprevedibile e molto vulnerabile su alcune decisioni. Quasi sempre, rigido in alcune situazioni.
Di certo, ancora non si era arreso riguardo al fatto di non clonare Simon. Se per questo, accennò, che voleva andarsene via lasciandomi per sempre sola, se non avessi preso una decisione al più presto.
Nel frattempo, miei genitori li sentivo quasi tutti i giorni ed erano felicissimi di questa mia nuova iniziativa riguardo lo studio.
Chiedevo a loro come stesse quella creatura e loro mi rispondevano: “Benone! Si sta formando perfettamente”.
Simon invece, con lui era sempre tutto più bello. Nonostante non c'era quel rapporto intenso, mi sentivo ugualmente felice. Bastava la sua astratta presenza per andare avanti.
Ogni sera, ci mettevamo fuori al balcone e ci raccontavamo le nostre avventure. La voglia di baciarlo era grande, ma non potevo e tanto meno lui.
Quando una strana mattina, di un giorno qualsiasi, ricevetti una chiamata che non mi sarei mai aspettata … la professoressa Stephine.
“Salve professoressa Stephine! Come ha avuto il mio numero?” le chiesi.
Con voce tremante mi disse: “Deborah, ascolta! uccidi quella creatura. Ti prego, ascoltami!”. Non riuscii a rispondere in tempo che “Ti prego torna subito qui! Non stare a sentire gli Angeli Caduti. I tuoi” e cadde la linea telefonica.
Subito dopo un paio di minuti mi chiamò mia madre: “Deborah vieni subito qui! Il clone è appena nato!”. Felicissima per un istante dimenticai ciò che aveva detto la Prof.
Preparai quindi le valige senza dire niente ai ragazzi, e quando arrivai a casa, i miei genitori mi presentarono il nuovo nascituro.
Quando lo vidi, ebbi una strana sensazione. Vederlo muovere, parlare appena, e quegli occhi spaventati, che osservavano ogni minimo movimento e oggetto.
Anche se era la copia esatta di Simon, non poteva mai essere uguale a lui. Nonostante la somiglianza erano perfettamente diversi.
Per un po' pensai: “Che cavolo ho fatto ?”. E quando vidi che portava una mascherina collegata a un macchinario, chiesi a loro il perché di questo. Mi risposero che aveva dei problemi polmonari e il sistema respiratorio, collegato al cuore non aveva un battito cardiaco regolare.
“Purtroppo… non vivrà a lungo” annunciò mio padre tristemente.
“Non si può far nulla per salvarlo?” chiesi con tanta amarezza e dispiacere.
“Beh… c'è una soluzione. Al centro dell'isola delle Hawaii, nelle foreste, vive una Strega, si chiama Hokula. Ha degli antidoti per le malattie incurabili, guarigioni, e  riesce a  far rinascere le persone scomparse. Vai da lei. Di sicuro ti darà quello che cerchi”.
Disorientata a ciò che mi aveva detto, chiesi: “Come fai a saperlo?” sembrò strano.
Balbettò: “Beh ecco… le le voci girano, e e le cose si vengono a sapere”.
“Da quant'è che lo sai? E perché non me l'hai mai detto? Perché non ci pensavate prima a dirmelo?”.
Rispose mia madre: “Deborah! E’ da poco che lo sappiamo. Tu vuoi che l'anima di Simon entri nel corpo di questo clone? Eh? Piccolina!” chiese avvicinandosi a me con un sorrisino stretto e accarezzandomi la spalla.
Sembrava molto convincente e sicura di sé.
“Okay… andrò stesso domani mattina. Ho bisogno di riflettere ora ”.
“Prima vai e meglio è!” disse mio padre prendendomi la mano.
Da che non volevano creare questo clone ora erano convintissimi più che mai. Mentre io, stavo iniziando con l'avere dei dubbi e dei rimorsi.
Volevo chiedere di queste informazioni riguardo a questa Strega, alla professoressa Stephine. Al di fuori di lei, chi altro lo poteva sapere?
Arrivai nelle vicinanze della sua abitazione, quando vidi la polizia e l' F.B.I . .
Mi avvicinai sgomitando alcuni assistiti. Un poliziotto mi aveva impedito il passaggio: “Mi dispiace signorina: ma non si può passare!”.
“Ma cosa è successo?” chiesi preoccupata.
“Lei conosceva la Signorina Tirelli?” chiese.
Affermai.
“Beh c'è stato un omicidio. E' morta… mi dispiace”.
Rimasi in silenzio per un paio di secondi. Schiacciata da quelle parole chiesi: “Ma… ma come è successo?”.
“Ancora non si sa. Stiamo cercando da ieri di sapere con esattezza chi la avrebbe potuta uccidere. Eppure, la rispettavano tutti… aveva per caso dei rivali?” mi chiese.
Di colpo i miei sospetti andarono sugli Angeli Caduti: “No. Che io mi ricorda!”. Ritornai di nuovo a casa accasciata da un'altra dura realtà.
Cosa voleva dirmi? Perché gli Angeli Caduti le avrebbero fatto questo? Cercavo sostegno e appoggio da Simon e Frank, tra la paura e la preoccupazione di non essere protetta abbastanza.
Sembrò strano che Frank ancora non mi avesse chiamata. Volevo provare a chiamarlo ma ero troppo distrutta.
Salendo le scale, mia madre mi fermò: “Tesoro dove sei stata? Per caso, a casa della professoressa Stephine?”.
“Sì ...” risposi con un nodo alla gola.
“Oh tesoro! Ci… ci dispiace tantissimo… ma ora vatti a riposare, che domani devi prendere il traghetto. Ti abbiamo comprato anche i biglietti. Okay?”.
Risposi a stento. 

La mattina seguente presi il traghetto, e come una scema, non chiesi ai miei come ci sarei andata se non sapevo la strada?
Quando arrivai al porto c'era un signore con in mano un cartello, e con scritto “DEBORAH SMITH” in bella vista.
Mi avvicinai a lui: “Salve!”.
“Tu sei Deborah Smith?” chiese.
“Sì. E lei?”.
“Sono il tuo accompagnatore. Ti condurrò nella foresta dove vive la Strega. Vieni!”.
Con tanto timore lo seguii percorrendo un lungo sentiero fatto di ostacoli e serpenti, di trappole e veleni. Ebbi la sensazione di vivere, da protagonista, la scena di un film di avventura, come quello di Indiana Jones.
In quel posto pensai, che mai nessuno sarebbe riuscito a cercare la giusta strada. Infatti a lungo andare, trovai degli scheletri. Di sicuro, quelle persone, non erano esperti della zona.
Giunti quasi a destinazione, dopo circa un paio d'ore di cammino (o anche di più), ormai sfinita, c'era una cascata. Disidratata, senza pensarci due volte, mi andai a tuffare.
“Dai muoviti!” disse quell'uomo. Col suo tono da prepotente riuscì quasi a farmi innervosire.
Arrivati davanti a un grande portone, dove le mura impedivano di vedere ciò che poteva stare dietro a quell'ammasso di cemento armato fatto di venti metri.
L'uomo bussò tre volte, e dopo un'attesa di un paio di secondi, si aprirono. Dinanzi a me, sembrò di vivere in paradiso. D'incanto, un paesaggio straordinario, difficile da descrivere con precisione quell'intreccio di colori. Così vivi e accessi, che sembravano luce del sole. Un arcobaleno steso sul prato. Quella fragranza gioiosa e quel cinguettio degli uccelli, che metteva a giacere ogni brutto pensiero.
Meravigliata, mi guardai attorno. Infondo, notai incantata, un vaso, con un mazzo di rose dorate, illuminati dalla luce del sole, che espandeva una strana polvere, come frammenti di diamanti trascinati dal vento.
“Deborah!” sentii chiamarmi da una voce angelica, di una donna. Quando alzai lo sguardo, riconobbi che era la Strega. Se vogliamo essere sinceri, tutto sembrava, ma tranne che una Strega!
Una bellissima ninfa dalla pelle chiara. Una lunga cascata di capelli ondulati di un colore intenso, come quello della notte. Guance rosse e occhi verde smeraldo con un taglio da felina.
Indossava un vestito bianco a giro maniche, dove la trasparenza lasciava intravedere cioè che nascondeva.
Delicata nel muoversi e nel suo essere scalzi sembrava ballare sulle punte.
Rimasi impietrita. Si avvicinò a me con molta cautela, come un feline alla cattura di una preda: “So il perché sei giunta fin qui” accarezzò i miei capelli “Ti manca eh?” mi guardò impietosita.
“Sì… mi manca tanto” la risposi non staccando ancora lo sguardo nei suoi occhi.
“Faresti qualunque cosa… non è così?” si avvicinò ancora di più a me, e all'improvviso le sue pupille si trasformarono come quelli di un gatto.
Le sue unghie le sentivo affilate, accarezzando lentamente il mio volto.
“Sì… farei qualunque cosa pur di farlo ritornare in vita!”.
“NOOOO! DEBORAH NO! E' UNA TRAPPOLA!” un grido interruppe. La voce era quella di Simon.
Attorno a me si formò un cerchio formato da traditori e infami. Altro non erano che i “Ribelli”.
Il paesaggio da che era incantato, si trasformò tenebroso, dove gli alberi presero un brutto aspetto, e le rose dei grossi pungiglioni. Il cielo si alternava con i suoi giochi di luce, da un rosso fuoco e un nero intenso. Il clima era torrido e gelido.
Vidi comparire da lontano i miei genitori. “Mamma! Papà! Che” ed ecco che fecero cadere le loro maschere. Era un travestimento, e in quel momento capii che forse in quei giorni avevo vissuto in casa con delle persone estranee e allo stesso tempo pericolose.
Trascinavano dietro una grossa catena. Tra quelle catene, erano incatenate i miei genitori e Simon.
Quell'uomo che mi aveva fatto da guida, non era altro che Harry, che insieme ai suoi compagni, trascinavano al centro una grossa gabbia, e dentro a quella gabbia c'era Frank a torso nudo, che segnava la sofferenza e il dolore sulla sua pelle con cicatrici e bruciature.
Le sue povere ali, ormai un po' sporche, erano incatenate.
“Che cosa sta succedendo? Lasciateli stare!” chiesi impaurita andando a soccorrerli, ma quella Strega, afferrò il mio polso, e nel voltarmi, vidi che da una bella ninfa, si trasformò in un’orrenda e originaria Strega. “Lasciami! Avevate promesso che non avreste toccato i miei genitori!” mi voltai verso Frank “Frank! Tu mi avevi detto che… ” gli continuai a dire agitandomi.
“Infatti, ma nel nostro paese, le regole non vengono rispettare!” disse Harry con un sorriso accattivante.
“Se no, non ci fossimo ribellati a Dio!” disse uno, e subito dopo partì una serie di risate fra loro.
“Quindi… ho vissuto in casa, in questi due giorni, con dei vostri traditori?” chiesi stordita.
“In un certo senso … sì! Se vogliamo dirla tutta, già dalle piccole conversazioni fatti per telefono per sapere come stava il clone, non erano loro. I tuoi genitori li abbiamo rapiti subito dopo che siete partiti!”.
“Noi non eravamo d’accordo, Deborah! Lo volevamo uccidere! Perché” disse mia madre con il suo viso sporco e distrutto da una serie di schiaffi e con le lacrime agli occhi.
“SILENZIO” gridò Hokula.
“Ehm, povera Deborah, che sciocca che sei… quante cose che non sai! Quanto impari a non fidarti delle persone, soprattutto quelli che credevi diversi?” precisò Harry.
“Questo che c’entra?” chiesi.
Rise: “Avanti Frank! Perché non glielo dici tu, di chi ti eri innamorato, e chi sei veramente?”. Lo guardai e cercai di sapere delle risposte, ma lui si oppose, voltandosi dall'altra parte.
“Avanti Frank! Se non lo dirai tu, lo diremo noi”. Lui continuò ancora a non rispondere, e perlopiù, ebbe anche una frustata sulle sue povere ali. Rispose Harry puntandomi il dito contro: “Di te, cara Deborah… proprio di te. Colui che diceva di esserti amico e Angelo Custode. Mentre amavi il tuo dolce Simon, lui in fondo, sperava di entrare a far parte nella tua vita… magari, con una disgrazia del genere!”.
Non credevo a ciò che diceva: “Frank è vero?” chiesi. Affermò solo dopo pochi secondi, col capo abbassato.
“Adam è il suo vero nome, non è un Angelo Custode, come ti ha fatto credere con la sua dolce storiella, ma bensì: un Angelo Caduto!” continuò Harry con quel suo tono irritabile.
“Le ali sono tinte. Ora, li vedi queste?” disse una di loro e toccando l'ala di Frank “Non è sporco… ma il suo vero colore!”
Mi sentivo tradita no da loro, ma anche dal lui, il mio migliore e falso amico.
In tal caso, Harry mi provocò chiedendomi se in quel preciso instante, non avessi avuto la voglia di ucciderlo, o magari farlo soffrire con una piccola vendetta.
Nonostante ciò, non avrei mai avuto il coraggio di fare un azione del genere. Il bene verso i suoi confronti non era cambiato di un millimetro. Quindi, rifiutai la loro richiesta!
“Mi dispiace tesoro, ma non puoi rifiutare. Semmai possiamo modificare qualcosa. Dovrai scegliere se vuoi vedere liberi e vivi i tuoi genitori e l'anima di Simon, nel nuovo corpo, o salvare Frank e vivere insieme a lui dannatamente? Lo sai, che lui ha fatto un grosso peccato. Ha tradito Dio! Quindi, hai tutto il diritto di fargli del male, prima che lo faccia il Superiore”.
Guardai l’espressione sconvolta di Frank, come se sapesse già cosa gli aspetta. “Che dovrei fare?” chiesi un po' arrabbiata.
“Niente gli dovrai tagliare le ali. Dopodiché, verrà dannato. Eppure lo dovresti sapere: la professoressa Stephine, non ti ha detto nulla a riguardo?”.
Li guardai minacciosamente, pronta ad alzare le mani: “Siete stati voi ad ucciderla? Assassini!” mi agitai cercando di dargli un pugno in faccia. Ma Hokula, insieme a un'altra assistente, mi bloccarono le braccia.
“Cara! Non serviva a niente, era solo un peccato tenerla in vita. Avrebbe commesso altri peccati! Allora? Che vuoi fare? Ti do al massimo un minuto per decidere. O Frank o i tuoi genitori e Simon?”
Mi aveva messo a una dura decisione, ma alla fine scelsi cioè che poteva sembrare giusto.
Guardai Frank immergendomi nei suoi occhi profondi, come la profondità dell'Oceano, che potevano essere nascoste al buio altri segreti e bugie. D'un tratto m'incantai nella sua bellezza sporca, trovandomi nella stessa situazione della professoressa Stephine.
“Ho scelto” dissi ormai pronta a dare il mo verdetto finale. Abbassai lo sguardo, e con gran forza, feci uscire quella frase: “Scelgo…” dai che ci voleva ad esprimere la mia decisione.
Indietreggiai di pochi passi per paura che qualcuno mi avesse pugnalato alle spalle non appena avrei aperto bocca.
E se fosse stata una decisione sbagliata? Se lontanamente avrei avuto dei rimpianti? E se fosse stata tutta una trappola, uccidendo tutti me compresa? Volevo svegliarmi da questo brutto incubo, da questo inferno, volevo trovare la giusta risposta sotto un cumolo di incertezze e paure.
 Ero pronta a parlare, ormai stavo già rischiando tutti e la mia stessa vita. Cosa avrei rischiato di più?
“Scelgo: scelgo i miei genitori e Simon”.
Harry mi fece l’occhiolino: “Ottima scelta”. Uno di loro gli diede l'ascia, consegnandola poi a me.
Liberarono Frank dalla gabbia. Appoggiarono la sua prima ala sopra a un marmo. Le lacrime incominciarono a scendere dal mio volto implorandogli perdono. Lui mi guardò per l'ultima volta: “Ti chiedo solo questo, e dopo ti potrò perdonare: abbracciami” lo abbracciai senza pensarci due volte, facendo cadere l'ascia a terra “Sappi che, anche se avresti rifiutato la mia richiesta, ti avrei perdonata lo stesso anzi, sei tu che devi perdonare me. Me lo merito… ti amo Deborah!”.
Gli Angeli Caduti ci distaccarono con violenza. Harry mi diede nuovamente l'arma. L’ultima parola: “Scusami” e con un colpo secco, chiudendo gli occhi e stringendo i denti, gli tagliai la sua prima ala.
Sentivo le sue urla. Urla di dolore. Ancora non li avevo aperti gli occhi. Harry mi diede il comando di procedere con la prossima ala, e nuovamente, a colpo secco, tagliai anche l'altra.
Gemeva, urlava, era disperato. Sentii la sua ala caduta sopra i miei piedi, quasi da farmi impressione e aprire d'improvviso gli occhi.
Vedevo lui accasciato a terra, piegandosi in due dal dolore e le mani tra i suoi capelli, che dalla disperazione, strappò alcuni.
Non potevo resistere un minuto di più: “Dammi subito l'antidoto!” dissi voltandomi verso la Strega “E lascia liberi Simon e i miei genitori”.
“Possiamo lasciare liberi solo i tuoi genitori. Simon deve stare con noi finché non avrai dato l'antidoto al clone” disse Harry con superiorità.
“Bastardo che non sei altro! Mi avevi promesso”.
“Calma! Se lasciamo libera l'anima di Simon, ti ostacolerà a non fare ciò che devi e vuoi fare. Automaticamente, l'anima entrerà subito nel nuovo corpo. Questa volta: fidati di noi!”.
Sembrò sincero, tanto da convincermi.
Presi l'antidoto e raggiunsi i miei genitori, quando di colpo ci trovammo a casa come se fossimo stati teletrasportati.
Prima di dare l'antidoto, volevo stare un po' da sola a pensare. I miei genitori, ancora scioccati, mi diedero ragione dandomi molto spazio “Qualunque cosa, qualunque decisione prenderai, noi ti staremo sempre vicina figlia mia. Non ti abbandoneremo mai” mi raccomandò con dolcezza mia madre.
“Mamma, papà! V i chiedo scusa. Ho fatto mettere in pericolo la vostra vita”.
“Tranquilla tesoro” disse mio padre dandomi un bacio sulla fronte “Ora andiamo a riposarci tutti insieme sul divano. Vicini vicini okay?”.
Ebbi tutta la notte per pensare. Mentre loro dormivano, io continuavo a stare sveglia, fino a quando, non crollai anch'io dalla stanchezza.

Arrivò la mattina seguente e presi la decisione. Scendemmo in laboratorio e, con tanta fatica, riuscimmo a far bere l’antidoto al clone. Dopo un paio di minuti si accasciò a terra, svenendo completamente. Pensai che poteva essere un'altra strategia o un altro imbroglio, ma subito dopo un'oretta, si svegliò.
Intontito e frastornato dal sonno chiese: “Dove mi trovo?”.
“Non ha importanza” dissi accarezzandogli la fronte.
Sembrava stupefatto dal mio gesto. Probabilmente l'antidoto non aveva funzionato. Persi comunque le speranze già da un po' che il mio Simon non potesse rinascere di nuovo.
“D… Deborah. Gufona mia, perché sei triste?”. Lo guardai con occhi felici. Era ritornato. Questa volta gli Angeli Caduti non avevano mentito. “Ma che cosa è successo? Perché mi trovo qui, nel vostro laboratorio? Che giorno è oggi?” alzandosi un po' a fatica.
In quel momento inventai all'ultimo secondo, una scusa credibile: “Amore! Non possiamo più restare qui. Stiamo in pericolo. Vedi… sei stato in coma per quasi un anno. Ti abbiamo curato io e i miei genitori. Sei stato sparato da un folle terrorista perché sapeva, con chi stavi…”.
Non riuscì a capire: “Con una delinquente per caso?”.
Risi nervosamente: “No. Beh ecco, i miei genitori, non sono degli scienziati: è una copertura. Tutto questo, è una copertura. Loro sono degli Agenti Segreti. Quindi, per metterci in salvo, dovremo cambiare identità e Paese”.
All'iniziò non abboccò questa colossale bugia, ma subito dopo, si convinse.
Riuscimmo quindi in due mesi a cambiare identità e Paese, grazie all'aiuto dei miei genitori e delle nostre conoscenze intime.
Con la mia nuova identità divenni “Lussy Hampton”. Mentre per Simon “Georg Darton”.
Saremo andati a vivere in New Jersey, e subito dopo i tre mesi, che comprammo casa, decidemmo di sposarci.

A volte le parole del passato sembrano ritornare indietro come un bumerang. Come gli avvertimenti e le raccomandazioni, sotto forma di verità, trasformandosi poi in realtà.
Che stupida. Vigliacca ed egoista. Solo perché volevo la mia felicità senza contare la felicità di chi stava al mio fianco.
Avevo vissuto i tre anni più brutti della mia vita. Simon aveva una brutta malattia ai polmoni e un abbassamento incredibile ai sistemi immunitari. Aggiungendo, che non poteva darmi dei figli.
Quasi spesso si ammalava. A volte la febbre gli saliva fino a quaranta, e per fortuna, fu ricoverato e salvato due volte.
I medici mi continuavano a dire che c'era poca probabilità che lui potesse vivere a lungo. E quando arrivò la sua ora, la mia vita si spense di nuovo, ovvero, era già spenta dalla sua prima comparsa.
Al suo funerale non piansi. Guardai con occhi perplessi la sua tomba, rimanendo per ore e ore seduta sopra a quella terra bagnata da una forte e abbattente acquazzone .
Quando sentii una voce, la sua, che mi disse con tanto rancore: “Te lo dissi … di non farlo!”.





Quando prendo una penna, un'improvvisa scarica di adrenalina prende in sopravvento la mia mano. Un leggero formicolio percorerre la mia pelle. La mano comincia a tremare con il cuore nel trascrivere frasi della mia vita dettate in forme semplici.
Parole da lasciarle scorrere lungo quel foglio come una cascata limpida e pura, senza mai fermarsi. 
 
"Le emozioni si vivono e si scrivono" 


Proteggimi con le tue mani e nascondimi dalle tue braccia. Cullami con il tuo corpo e custodiscimi nei tuoi sogni. Respira il mio profumo e specchiati nei miei occhi e scava dentro di essi, troverai la mia anima che sussurrerà il tuo nome e ti dirà: "Vivimi e amami dentro e fuori". Incideremo così, nel nostro letto, l'eterna promessa.[G.Micelli]

La scuola ti fa studio del passato, la vita stessa invece, del presente e del futuro. [G.Micelli]

 

Piccolo grande ricordo, che mi hai suscitato tante emozioni, non ti ho mai dimenticato ... . [G.Micelli]


I baci non vanno perduti su labbra di persone che non hanno alcuna importanza. [G.Micelli]

 

Purtroppo nei sogni non c'è nessun divieto che possa fermare gli incubi! [G.Micelli]


Tutto è un fuoco dentro me
nascosta tra le ombre del buio.
I ricordi calano
dietro a una goccia segnata ormai
da un tempo passato che ritona così,
senza te.
Morire, se sapessi che
riusciresti a vivere
anche senza di me.

Come farei?
A respirare senza te.
Come farei?
Irresistibile tu sei.
Io non so chi sono
da quando il mio cuore ha cominciato
a parlarmi di un amore che
sembra impossibile raccontarlo
a voce nuda [G. Micelli]


Noi esseri comuni viviamo nel dubbio ... gli incoscienti ... in una favola costruita! [G.Micelli]



Sei stato come un lampo che ha fulminato in un secondo il mio cuore.[G.Micelli]



Ricordo come se fosse ieri. Ricordo come se fosse oggi. Il tuo ricordo ormai è imprigionato dentro me.[G.Micelli]



Alza lo sguardo verso il cielo. E' tarda sera. La luna ha preso il posto del sole. Un'altra lunga notte gli aspetta, intanto le stelle ti raccomandano un'altra notte piena di desideri e tanti bei sogni.[G.Micelli]



Spesso non dormi, no per mancanza di sonno, ma perché è l'unico momento in cui tutto intorno a te giace tranquillità e pace.  Un minuto per pensare, un'ora per ricordare e due per sognare. La notte è fatta anche per questo![G.Micelli]

 

Chi sei tu? Ti sento. Ti vedo. Fino a quando mi vuoi tormentare? Nei sogni t'incontro. Per strada avverto la tua presenza. Incubo inguaribile che mi lascia senza fiato durante le lunghe notti. A sol sentire il tuo profumo, mi riapri le cicatrici del passato. Mi obblighi a guardarti negli occhi, sapendo che posso cadere nella tua anima misteriosa. Continui a tentarmi con il tuo fascino. Seduci con il tuo respiro il mio cuore. E poi, per poi scomparire così, lasciandomi stesa a terra con addosso ancora il tuo peso sopra il mio corpo. Ma dimmi, COSA VUOI ANCORA DA ME?[G.Micelli]

 

Purtroppo nei sogni non c'è nessun divieto che possa fermare gli incubi.[G.Micelli]

 

Seguo un lungo percorso fatto di intrecci e sconfitte, rimpianti e dolori, decisioni e incomprensioni. Sembra strano dirlo, ma tra questi sentieri tenebrosi, l'oscurità della notte, e il maleodore della paura che ancora oggi respiro, ho imparato a sorridere e a danzare sotto un cielo in piena tempesta pronto a scaricare critiche e insulti sulla mia pelle, senza avere pietà. [G.Micelli]
 

 

Noi esseri comuni viviamo nel dubbio ... gli incoscienti, in una favola costruita [G.Micelli]

 

E quando un desiderio s'infrantuma in attesa, è la cosa più dolorosa che possa esistere [G.Micelli]

 

Da piccola avevo paura dei mostri sotto al letto ... ora, degli esseri umani che camminano per strada a fianco a me! [G.Micelli] 

 

Le decisioni che ci tirano nel tranello… perché non potremo mai sapere cosa succederà dopo averla presa.
Solo vivendo potremo riuscire a sapere: grazie al tempo.[G.Micelli]

 

Ricordo come se fosse ieri, ricordo come se fosse oggi. Il tuo ricordo è ormai imprigionato dentro me [G.Micelli] 

 

  La solitudine si nasconde sotto mille volti ... ma la peggiore in assoluto è quando ci troviamo in mezzo a tanta gente e ... come se non esistessero. Ci sentiamo soli nonostante stiamo tra la gente. Perché la solitudine influenza questo effetto su di noi? [G.Micelli]

 

Produco di nuovo i miei sogni sotto una nuova sinfonia grazie al tuo amore che nutri con dolcezza la mia anima [G.Micelli]

 

Dove mi hai portata? Mi hai portata in un altro mondo. Con le tue dita hai studiato il mio volto. Dalle tue labbra scorre ancora una sorgente di dolcezza insaziabile. Ed ora spogliami di ogni mia preoccupazione. Prendimi per mano e guidami verso il nostro sogno, l'unione di due anime in un solo corpo. [G.Micelli]

 

L'adolescenza è come un laboratorio scientifico: esperimenti qualunque cosa [G.Micelli]

 

Veniamo da mondi diversi, un'unica passione. Questo è il nostro momento. Tienimi per mano e non lasciarmi mai. Ogni battito del nostro cuore, è un passo verso il successo.[G.Micelli]

 

Spesso non dormi, no per mancanza di sonno, ma perché è l'unico momento in cui tutto intorno a te giace tranquillità e pace.  Un minuto per pensare, un'ora per ricordare e due per sognare. La notte è fatta anche per questo![G.Micelli]

 

Ogni oggetto, è ricordo. Ogni posto, è ricordo. Ogni nome, è ricordo. La metà del nostro cuore e del nostro cervello, è ricordo. Anche noi stessi, siamo ricordi del passato![G.Micelli]

 

Tempo passato, tracce sbiadite. Ritorno in quel posto e rivedo te seduto su quella panchina. Eri felice e spensierato, o forse così volevi far credere. Coperto solo dalle mie calde braccia e coccolato dai miei baci. Le stelle erano il nostro pubblico. Illuminati solo da un lampione e spenti da ogni pensiero. Cercavo il tuo cuore, ma all'improvviso la mia mano distaccò la tua. Ogni parola era dubbio, ogni gesto era ricordo, e ogni sguardo era paura. Ora è passato di tempo. La mia mano cerca di afferrare il tuo corpo invisibile ma niente ... non ci sei. Hai lasciato una traccia, che si trova nel mio cuore. Un amaro rimpianto inspiegabile, e una piccola pillola di dolore che continua a stare in gola. Dove sei? Ti cerco e non ti trovo. Forse sei dentro me. E allora ti voglio fare alcune domande. Li faccio ma non mi rispondi ... perché? Perché? Ho bisogno di sapere ... rispondi. Come è scomparsa la tua voce, anche le risposte sono sparite nel nulla![G.Micelli]

 

Ti osservo. Guardo con insistenza i tuoi lineamenti. Mi soffermo davanti alla tua bellezza. M'inchino dinanzi al tuo cuore e giuro solennemente di amarti intensamente per il resto della nostra vita.[G.Micelli] 

 

Le decisioni che ci tirano nel tranello… perché non potremo mai sapere cosa succederà dopo averla presa.
Solo vivendo potremo riuscire a sapere: grazie al tempo.[G.Micelli]

 

Sono un cielo in piena tempesta, pronto a scaricare come pioggia il peso di un pianto amaro. Urlare fino a far tremare la terra, tuonando la mia rabbia nascosta dietro a un falso sorriso. Correre a perdifiato verso un qualcosa che non c'è, cercando di spazzare con un soffio di vento un tormentoso ricordo. I miei occhi sono nascosti dalla mancanza di credibilità verso i miei simili. Il mio cuore è sepolto dalla perdita di speranza verso un sogno irraggiungibile. Ho smarrito la fiducia e la pazienza percorrendo un buio presente. Ora, non so che fare. In tal caso, dopo la tempesta, dal mio volto comparirà sempre il sereno. Imparerò quindi a combattere contro le avversità della vita senza mai lasciar perdere, anche quando sembra che il mondo mi stia contro, facendomi inciampare, sporcandomi di fango, provocando lividi e cicatrici. In fondo, questa è la vita che ci insegna ancora una volta un qualcosa: "A non arrendersi mai!".[G.Micelli]

 

Non voglio vivere di rimpianti, ma di desideri realizzati. Non voglio vivere per accontentare gli altri, ma di ciò che esige il mio cuore. Non criticare la mia personalità, le ferite che porto sono visibili solo ai miei occhi. Non comandare il mio presente, io conosco la strada per il mio futuro. Ti chiedo gentilmente, di guardare un po' te stesso piuttosto che la vita degli altri ... questa è la mia vita e voglio gestirla IO, NO TU![G.Micelli]

 

Che strani i ragazzi… prima ti fanno costruire castelli in base ai sogni che hai, per poi distruggerli inaspettatamente con una bomba nucleare, senza darti nemmeno l'agio di prepararti all'impatto sofferente, lasciando anche le loro tracce. Che stupidi, non sono proprio furbi! [G.Micelli]

 

Non smetterò mai di ringraziare questo cielo, che mi ha donato una persona amabile e comprensibile, che giorno dopo giorno riesce a darmi nuove emozioni. Ha recuperato il mio respiro sotto un cumolo di cemeto.  Mi ha regalato nuovi battiti in questo cuore senza vita. Ha illuminato il mio viso di una luce splendete da far riaccendere nuove speranze. Ha risuscitato la mia anima coperta da un velo grigio. Non saranno mai abbastanza le parole per ringraziare ogni giorno i suoi gesti e i suoi sguardi.  [G.Micelli]

 

Chi ti conosce ascolta il tuo silenzio. Sente le parole leggendo il tuo sguardo. E chi ti vuole bene ti sta vicino nonostante la lontananza impone di vedervi.
[G.Micelli]

 

Quel maledetto nodo alla gola che sembra affogare l'anima. Quel tremolio alle mani che sembrano temere del domani. Quel senso di colpa che divora la gabbia toracia, schiacciando i polmoni e lasciando respirare appena. I brividi maligni accarezzano la calda pelle e il fuoco che brucia dentro divorando tutti gli organi. La voglia di cancellare l'accaduto in una sola lacrima. Paura di ricominciare e rinunciare tutto. Queste ... sono le sensazioni che non vorrei mai provare, eppure devo, perché? Perché fanno parte della vita! [G.Micelli]

 

No, non voglio gettarmi di nuovo in un mare d'illussioni e affoggarmi tra la falsità. Non voglio spegnere una piccola fiamma che c'è in me. Non voglio che il vento soffi dalla parte sbagliata. Perché dovrebbe capitare proprio a me?[G.Micelli]

 

Quando sentiamo il battito del nostro cuore, l'adrenalina che sale sempre di più e il sudore che attraversa tutto il nostro corpo.
Un sudore fatto di sacrifici, forze e sconfitte. Gioie, divertimento e allegria.
Quando la musica entra in possesso del nostro corpo, i nostri piedi non sono più in grado di stare fermi.
In quel momento non siamo telecomandati dal nostro cervello, ma dall'istinto.
Siamo stanchi? Non fa niente, continuiamo e continuiamo ancora, fino a quando non sentiamo i crampi e gli strappi muscolari!
Perché ballare ci fa questo effetto. Ci tiene attivi anche quando siamo spenti, un ottimo sfogo per calmare la tensione, esprimere ciò che non riusciamo a dire a voce.
Ogni canzone che sentiamo, o musica, inventiamo a momenti ottime coreografie, immaginando di stare su di un palco e tutti gli spettatori ad applaudirci ... un emozione fortissima.
Forse tutto quello che ho scritto non ha un senso ... in fondo, non sono una ballerina [purtroppo*], eppure, ho quell'adrenalina nel mio DNA! [G.Micelli]


Quante magie può regalare ancora il mondo al di fuori dei tuoi occhi? [G.Micelli]

 

 


 


 


 

 

 




 


 

 

 


Nessun commento:

Posta un commento

Cerca nel blog